Prima di Twitter, prima di farci conquistare da tutta questa socialità fuori dalla tavola, i piemontesi avevano la bagna cauda.
In un recipiente collettivo dove la salsa calda a base di olio, aglio e acciughe in cui intingere le verdure croccanti continua a sobbollire, i partecipanti alla tavolata immergono le verdure e le insaporiscono prima di sgranocchiarle.
Oggi come ieri ci sono gli schizzinosi, quelli che naso all’insù rivendicano di non avere l’account Twitter. Per loro ci sono le coppette d’argento, individuali, un altro modo di mangiare il tipico antipasto invernale che prende il nome dalla parola piemontese “bagna” (intingolo), e si porta in tavola nell’apposito fornellino elettrico perché rimanga sempre caldo. Ma inevitabilmente si perde l’atmosfera.
Il gioco comunitario con la bagna cauda prosegue all’indomani della cena. Se tutti hanno attinto al piatto non ci sono problemi. Invece il singolo parlerà a denti stretti, metterà una mano a schermo delle labbra e si scuserà delle eventuali zaffate d’aglio. Il suo alito non è riscattato dalla trasgressione collettiva.
Ci si potrebbe chiedere come mai una salsa con le acciughe sia il piatto simbolo della regione piemontese.
Le tradizioni marinare arrivano molto tempo fa, con i francesi in fuga da Albi che, considerati eretici, evitano le persecuzioni rifugiandosi nel basso Piemonte. Se la spiegazione non vi convince ne abbiamo subito pronta un’altra. La strada fatta dagli acciugai della Val Maira che nel 1800 portavano in Italia barili di acciughe dalla Spagna e dalla Francia.
I tradizionalisti duri e puri accompagnano la bagna cauda solo con cardi o peperoni. Il mio purismo, archiviato tempo fa, non mi impedisce di accompagnare la salsa con verdure crude e cotte, vedi cavolfiori, barbabietole e patate. Senza peraltro stemperarla né con il latte né con la panna.
Per essere pratici, fare la bagna cauda in casa significa due cose: non temere l’aglio, i cui effluvi conquisteranno casa e commensali. E consegnarsi, come dicevamo, al rito conviviale scegliendo se mettere in tavola i fojòt, classici contenitori in terracotta con alla base una candela che mantiene caldo il coccio, l’antico dian, tegame di terracotta smaltata dove si mangia tutti insieme, o le coppette d’argento. Fate voi.
Vino rosso corposo, ovviamente, e iniziamo a cucinare.
Ingredienti per 4 persona
cardi g 700
topinambur g 500
olio extravergine di oliva g 300 più un po’
acciughe salate g 150
burro g 50
6 spicchi di aglio
2-3 carciofi
2 cipolle
2 gambi di sedano
1 peperone rosso
1/2 barbabietola rossa bollita
1/4 di cavolo cappuccio
limone
Preparazione
Pulisco le acciughe, tolgo le lische e raschiandole elimino il sale.
Metto l’aglio con il burro in un tegame di coccio, leggermente pestato e tagliato a pezzetti, lascio cuocere a fuoco molto basso per 4 minuti. Aggiungo olio e acciughe, proseguo la cottura fuoco basso per 10 minuti.
Nel frattempo preparo le verdure: pulisco e affetto carciofi, cardi e tobinambur che metto a bagno in una soluzione di acqua e limone.
Passo al peperone, lo pulisco e riduco in filetti, poi al cavolo che porziono in foglie singole. Infine le cipolle (più per i commensali che per me).
Lascio cuocere per 20 minuti in acqua bollente una parte dei cardi, i topinambur per 7 minuti, intanto metto le cipolle in forno con un filo d’olio per 20 minuti.
Porto in tavola le verdure cotte e quelle crude, assegnando a ciascun invitato il suo fojòt con la bagna cauda. Il piatto è pronto per muovere l’assalto al palato dei commensali e io, mi godo la serata.